sabato 31 ottobre 2009

La morte

Riciclo questo mio post sempre attuale.

Hall.jpg 

Oggi, in occasione della festa di Halloween, che poi se vogliamo in origine questa non era altro che Hall1.jpguna patetica imitazione del nostro carnevale, col tempo ci è ritornato addosso e subito come al solito c’è stato chi ne a saputo approfittare facendo soldi alla faccia nostra, amen. Quando arriverà

                         Per continuare a leggere, clicca qui>la morte.doc 

venerdì 23 ottobre 2009

cucina sammichelana 2

Questo post e il seguito di:  http://carolemico.myblog.it/archive/2008/12/15/cucina-sammichelana.html

LA CUCINA SAMMICHELANA, OSSIA LA VERA CUCINA MEDITERRANEA  2

 

12   ALIJI ALLA CONZ. Le “aliji alla conz”, tradotto in italiano sarebbe olive alla malta, ma questa traduzione è un po’ empirica, continuando a leggere capirete perché alla conz. Questo tipo di olive è una tradizione antichissima, come tutte le ricette mediterranee, erano tramandate da madre a figlia. Sono ottime come antipasto, anticamente venivano usate come fuori pasto e come accompagnamento per mangiare il pane e bere un buon bicchiere di vino, non erano niente  male. Le olive usate sono una qualità che in dialetto vengono chiamate “aliji corn” (olive corna), sinceramente non conosco il nome in italiano, hanno la forma leggermente ricurva, da li il nome, comunque va bene qualunque tipo di oliva (non troppo grosse), però le aliji corna sono le più indicate. Veniamo alla preparazione (preparazione molto lunga ma ne vale la pena per ottenere un prodotto da oscar). Ingredienti:- un kg. di olive verdi (non mature) sane senza punture di vermi o macchie e non raggrinzite; un kg. di cenere di legna (va finemente setacciata per eliminare impurità); 100 gr. di calce in polvere; alcuni rametti di mirto (senza i frutti o fiori); alcune foglie di arancio; alcune foglie di limone; alcune foglie di alloro; sale quanto basta. Per una dose maggiore rispettare le proporzioni. Preparazione:- munitevi di un paio di guanti in lattice o gomma, in una capiente bacinella in plastica, versare la cenere dopo averla setacciata, mischiarla con la calce in polvere, aggiungere acqua e miscelare sino a farne un impasto (non troppo duro ne troppo molle, da qui il nome conz), lavare in acqua corrente le olive scolarle e versarle in questo impasto mescolare il tutto acche le olive vengano ben inglobate, spolverare sopra un pò di cenere affinché tutte le olive siano coperte. Coprire con un panno sottile per evitare che insetti o altro vadano a finire dentro e lasciare cosi per almeno un paio di giorni. Dopo due giorni andate a controllare, sopra la superficie dell’impasto si dovrebbe essere creato un liquido rossastro, se non è avvenuto lasciate riposare ancora, quando questo liquido è presente, prendete un’oliva e lavatela sotto acqua corrente, controllate se la polpa si stacca facilmente dal nocciolo è contemporaneamente assaggiate se l’amaro dell’oliva e sparita, se è ancora amara lasciate riposare altro tempo. Quando ritenete che l’amaro è sparito, versate l’impasto (anche un poco alla volta) il un colapasta è fate dilavare la cenere e la calce in modo che rimangano solo le olive, sciacquare bene olive e bacinella, riversare le olive nella bacinella e mettere acqua fresca sino a coprire le olive, cambiare l’acqua ogni tanto fino a che non sia sparito il sentore di calce e cenere e il colore rossastro.

Quanto ritenete che le olive siano pronte, prendete una pentola di acciaio capiente, lavate sotto acqua corrente il mirto e le varie foglie (più ne mettete più e forte l'aroma) e mettetele nella pentola assieme ad un pugno di sale, aggiungete quattro o cinque litri di  acqua (dipende dalla quantita di olive), coprire e portare a ebollizione per qualche minuto, lasciare raffreddare nella stessa pentola (sentirete un odore che è una sinfonia) controllare che sia ben salato altrimenti le olive diventato molli e si potrebbero rovinare.

Scolare bene le olive nel solito colapasta, mettetele in dei recipienti di vetro col coperchio a vite (non riempire sino all’orlo lasciare qualche centimetro) prendete l’infuso e versatelo sopra le olive sino a coprirle completamente, mettere il coperchio (date una leggera agitata o girateli sotto sopra in modo che l’infuso vada dappertutto, se il livello di dovesse abbassare aggiungete altro infuso)  lasciare riposare per almeno un paio di settimane (l’ideale sarebbe aspettare un mese, ma si sa non vedo l’ora di provare).

Ricordatevi che le olive devono essere sempre molto salate, altrimenti diventano molliccie e/o possono rovinarsi, insomma è il sale che aiuta a conservarle.

Provate e vedrete che bontà.

Le stesse olive (specie quelle commerciali) vengono preparate con la soda caustica, ma rimangono sempre amare è soprattutto non hanno quest’aroma.

 

 13  ALIJI NER CULL’ACQU. (Che poi sarebbe Olive nere in salamoia). Anche questo tipo di preparazione delle olive nere, discende dalla notte dei tempi, dall’esperienza dei nostri nonni, anzi le nostre nonne. Sono le classiche olive buone per la pizza, la focaccia, la pizzaiola e da mangiare come antipasto o cosi per sfizio, ottime per accompagnare il vino rosso. Modo molto più facile di preparazione ma  dal risultato non meno gustoso. Ingredienti:- olive nere, per il quantitativo fate voi  (le olive usate e le più indicate in dialetto sono chiamate “ olive dolci ”, una qualità molto meno amara delle altre, comunque si può usare qualsiasi tipo di oliva) ben mature e sane (senza punture o macchie varie); sale grosso;  buccia di arancia; foglie di alloro (in una cucina che rispetti non devono mai mancare). Preparazione:- Lavare le olive in acqua corrente; prendere una pentola di acciaio (o un recipiente di vetro) capiente, sciogliete dentro una manciata di sale, aggiungere le olive e rabboccare l’acqua sino a coprire mettete sopra la pentola il coperchio e lasciate stare per una giornata, poi scolare tutta l’acqua e assaggiate un’oliva se è ancora amara ripetere l’operazione sino a che non risultino abbastanza dolci; quando ritenete che le olive siano buone, prendete dei recipienti di vetro con chiusura a tappo, versateci dentro le olive (lasciare sempre un poco di spazio), metteteci una grossa manciata di sale, lavate bene ed aggiungeteci qualche pezzo di buccia di arancia e due o tre foglie di alloro (dopo averle lavate ovviamente), riempite di acqua quasi fino all’orlo (deve coprire completamente tutto altrimenti le olive che restano fuori possono rovinarsi), tappate e date una agitata in modo che il sale giri all’interno. Lasciate riposare per qualche giorno, riaprire il contenitore ed assaggiate l’acqua deve essere molto salata (se occorre aggiungete altro sale) altrimenti le olive diventano molli. Lasciate riposare sino a che l’acqua diventi completamente nera (il sale penetrando nell’oliva espelle il nero).

Ricordatevi che le olive devono essere sempre molto salate, altrimenti diventano molliccie e/o possono rovinarsi, insomma è il sale che aiuta a conservarle.

 

 14   ALIJI SALET. Olive sotto sale. Anche questa semplicissima ricetta e vecchissima ed è diffusa un po’ ovunque. Ingredienti:-  olive nere, al solito il quantitativo e soggettivo, (le olive usate e le più indicate in dialetto sono chiamate “ olive dolci ”, una qualità molto meno amara delle altre, comunque si può usare qualsiasi tipo di oliva) ben mature e sane (senza punture o macchie varie); sale  (grosso o fino non ha importanza). Preparazione:- Lavate le olive in acqua corrente, scolatele bene, mettetele nel solito recipiente di vetro col tappo, versateci una grossa manciata di sale, tappate e date la solita agitata in modo che il sale vada a contatto con tutte le olive. Lasciate riposare per qualche tempo (ogni tanto e bene dargli una agitatina). Col passare dei giorni sul fondo del recipiente si potrebbe depositare un liquido nero rossastro, non preoccupatevi e normale è l’effetto del sale, potete lasciarlo o scolarlo e indifferente. Dopo una decina di giorni assaggiate se occorre aggiungete altro sale e rimescolare di nuovo.

Ricordatevi che le olive devono essere sempre molto salate, altrimenti diventano molliccie e/o possono rovinarsi, insomma è il sale che aiuta a conservarle.

 

Non finisce qui appena posso aggiungerò altro. Ciao

 

 Date anche un'occhiata a questo link:-

 http://carolemico.myblog.it/archive/2009/09/15/zucca-e-zucchini-in-cucina.html

 

giovedì 15 ottobre 2009

La calce, le calcare

 
calce_2009_3b.jpg
calce_2009_2b.jpg
Nelle foto uno degli ultimi venditori ambulanti di calce in pietre (un mestiere che ormai come tanti sta sparendo) ormai difficile da trovare, con la sua mercanzia, purtroppo non usa più il carro trainato da animali ma un camioncino.

Le foto sono state tratte dal sito:- http://www.midiesis.it/

Il disegno di un'antica calcara
calcar02.jpg
La calce

La calce è ed è stata specialmente nel passato (prima dell'avvento del cemento come lo intendiamo noi attualmente) un elemento indispensabile oltre che nell'edilizia per vari altri usi, specialmente qui da noi nel brindisino, veniva usata oltre che nell'edilizia, in svariati altri modi, sopratutto dalle donne veniva usata per imbiancare i muri sia interni che esterni delle case; in agricoltura; per la preparazione del sapone artigianale; nella preparazione delle tanto amate e conosciute olive "" aliji alla conz ""; in polvere per disinfettare locali in cui venivano tenuti gli animali; ecc.

E da dire anche che su un muro imbiancato a calce non troverete mai quello schifo di muffa (che tra l'altro fa anche male se respirata), cosa che avviene spesso invece se si pittura un muro con i prodotti sintetiti.

Anticamente vicino a noi, nella zona della Masseria San Giacono, esistevano e funzionavano diverse calcare per la produzione della calce. Favorite dalla abbondanza di legna, la masseria si trovava al confine con l'antica Foresta Oritana (ormai ridotta di molto). E poi qui non mancava di certo la pietra calcarea, materia prima per la creazione della calce. I vecchi raccontavano che qui e poco vicino in contrada Cutura anticamente esistevano due città (forse greche o più sicuramente messapiche) poi distrutte non si sa perché forse durante le guerre tra Taranto e i Messapici, a riprova di questo nelle due zone sono state trovati (è si trovano tutt'ora) numerosi resti sotto terra, ma caso strano sulla superficie non esiste quasi più nulla, dove sono finiti tutti i materiali di cui erano fatte le case, le mura di queste ipotetiche città. Le pietre usate nelle calcare venivano raccolte per  tutti i terreni circostanti,  pensate a quanti reperti storici e preistorici,  resti di muri case, statue e qualsiasi altra costruzione in pietra,  possano essere stati distrutti per farne calce. D'altronde,  vi era e vi è tutt'ora la mentalità che delle pietre all'interno di un terreno agricolo, se non servivano per farne qualche costruzione o dei muri a secco,  occupavano spazio inutile è davano fastidio,  pertanto era meglio disfarsene e recuperare lo spazio da esse occupato,  se poi si poteva ricavarne qualche guadagno tanto meglio. Sino all'inizio degli anni 60 del secolo scorso, nella zona di San Giacomo, funzionava ancora una di queste "calcare" artigianale,  (mio nonno diceva che lui era bambino e quella "calcara"  gia esisteva).

Mi ricordo quando da bambino vedevo passare i venditori di calce  i quali giravano per le vie del paese con un carro trainato da un cavallo o un mulo, con la classica bilancia (quella con da una parte un piatto appeso da catenelle e dall'altra la sbarra su cui scorreva il peso, attaccata alla sponda del carro), i carrettieri con una gamba su ed una a penzoloni sul fianco del carro, invitavano la gente a comprare al classico grido " CAUC CAUC, ACCATTAT LA CAUC" (calce, calce, comprate la calce). Le donne che litigavano perchè non volevano le pietre con la parte scura perchè sporcava la calce.

Ricordo ancora quando molto piccolo (6-7 anni) mio nonno mi porto a vistare quest'ultima calcara (era nella zona di San Giacomo nel triangolo formato dall'incrocio San Michele-Francavilla e la via interna che percorsa evita di passare per l'incrocio suddetto), io mi incantavo a vedere tutte quelle persone che con le pietre calcaree costruivano una specie di volta, come un forno, sotto cui poi accatastavano della legna che successivamente veniva data alle fiamme, fiamme che rimanevano accese fino a quando grazie al calore le pietre non si trasformavano in calce (forse giorni).

E si, bei ricordi quelli del passato.

Mi sa che ben pochi si ricordano ancora quella calcara.

Ironia della sorte oggi e scomparsa anche la "calcara" e le pietre  con cui era costruita?,  mah chissà?,  forse saranno diventati un muro a secco o la pavimentazione di qualche  strada.

Leggete anche questo bell'articolo sottostante.   

Questo articolo è stato tratto dal sito :-

http://www.massalubrense.it/calcare.htm

Le calcare, la calce e i "carcarari"

La calce viene prodotta per cottura della pietra calcarea, la quale posta poi a contato con l'acqua, sprigiona calore e comincia a ribollire e viene chiamata calce viva. Questo processo, che è molto pericoloso, si chiama "spegnimento" e viene realizzato in apposite vasche. La calce così ottenuta mista all'acqua viene detta idrata.

La calce oggi è utilizzata soprattutto per intonaci e per malte bastarde (mischiandola al cemento), mentre prima era la principale materia legante della pietra.

La cottura del calcare o più comunemente della "pietra viva", un tempo avveniva nella "carcare" che erano numerosissime dalle nostre parti e soprattutto nelle cave di pietra aperte lungo la costa. Oggi dalle nostre parti nessuno più produce la calce, che viene acquistata già pronta e confezionata in sacchetti presso i rivenditori. Un tempo occorrevano decine di persone e molte settimane per produrla. Gli addetti a tale produzione venivano detti Carcarari. Abbiamo cercato di trovare persone del nostro paese che ricordassero come si faceva ma non ne abbiamo trovato alcuno. Ci hanno saputo solo spiegare che si utilizzavano le "fascine" e che alla sua produzione a volte concorreva l'intera comunità della frazione perché la temperatura nelle fornaci doveva essere altissima e costante per settimane. Le "fascine" occorrenti erano perciò migliaia e dovevano essere ben secche e preparate per tempo.

Esistono due tipi di fornaci. Una prima differenza è dovuta alla diversità dei materiali impiegati per la loro costruzione: la vecchia fornace era costituita con pietre diverse da quelle della cava, capaci cioè di sopportare alte temperature; la fornace attuale, invece, è stata ricavata scavando nella roccia e le pareti sono fatte di roccia stessa. Un'altra differenza consiste nel fatto che la vecchia fornace è un'opera costruita fuori terra, l'altra, invece, si sviluppa sotto il livello del terreno ed è provvista di una camera, sottoposta alla fornace e con questa comunicante per mezzo di una grata, che favorisce l'aerazione e consente il deposito della cenere durante la cottura del calcare. Comunque la differenza sostanziale tra le due fornaci consiste nella qualità del prodotto. Infatti con il sistema di cottura attualmente in uso si ottiene una calce migliore rispetto a quella prodotta con la vecchia fornace. Nella vecchia fornace la cottura del calcare veniva realizzata mediante la combustione di carbone coke. Per il «caricamento» della fornace si sistemava sul fondo di questa una robusta grata di ferro. Su di questa si disponevano alternati, uno strato di pietre e uno strato di carbone fino al riempimento completo della fornace. Durante la cottura del carico era necessario liberare di tanto in tanto la cenere e gli altri residui della combustione che filtravano attraverso le maglie della grata. Questo metodo di cottura del calcare e quindi l'impiego di questa fornace furono abbandonati per due motivi: il costo del carbone coke, che incideva notevolmente sul costo di produzione della calce, e la qualità della calce che, per il tipo di combustibile usato, assumeva un colore grigio, poco naturale per la calce. Oggi attiva si usa, invece, un metodo di cottura diverso sia per il tipo di «caricamento» che per il combustibile impiegato. Il metodo di «caricamento» è molto complesso ed è conosciuto, nella nostra zona, da un solo «carcararo».

Ma per comprendere bene questo sistema vi invito ad osservare le fasi giorno per giorno fino al carico completo della fornace. Quanto al combustibile impiegato ci serviamo di segatura che preleviamo noi stessi presso le varie segherie della zona. Un carico intero consente una produzione di circa tremila quintali. Teoricamente si potrebbe produrre circa 12.000 quintali di calce ogni mese. Ma in pratica si supera di poco i 6.000 quintali. Infatti la calce, dopo la cottura, resta nella fornace che, coperta con un tetto mobile, si trasforma in deposito. Quindi il «caricamento» è possibile solo quando si riesce a smaltire tutta la calce presente nella fornace. La calce, insieme al cemento, costituisce un legante idraulico insostituibile nelle costruzioni, e fino a quando ci sarà richiesta di case i lavoratori del settore non avranno motivi di preoccuparsi.

Il caricamento della fornace

L'addetto al caricamento della fornace è il vero carcararo. Tutti gli altri sono solo dei manovali che si alternano nei vari lavori secondo il bisogno. Quando la temperatura all'interno della fornace sale a più di 800 gradi si verificano nella pietra dei grandi cambiamenti: nelle prime 24 ore essa diventa fragile come il vetro, successivamente il suo peso si riduce a quasi la metà perché il fuoco distrugge tutta l'acqua che la pietra contiene; contemporaneamente si riduce anche il volume e la pietra diventa più piccola e all'interno di essa si producono delle lesioni. Quando la pietra è soggetta a queste trasformazioni, particolarmente nelle prime 24 ore di cottura, compie all'interno della fornace dei movimenti che bisogna prevedere al momento della sua collocazione. Infatti basta sistemare una sola pietra senza tener conto dei suoi movimenti, durante la cottura, che l'intero carico può crollare e, quindi, andare in rovina. Prima di iniziare il carico occorre liberare la fornace da tutti i residui di calce presenti. Dopo di che si prepara la grata sul foro che collega la fornace con la «camera di sgombero». La grata consiste in una volta costruita con pietre a secco, senza malta, provvista di vuoti che consentono il passaggio della cenere durante la cottura del calcare dalla fornace alla camera di sgombero.

La grata ha la forma di una volta perché è l'unica forma possibile per evitare che il carico con il suo peso possa precipitare nella camera di sgombero. Dopo la sistemazione della grata si inizia a costruire la «fodera». Questa è una fascia di pietre di piccole dimensioni che vanno disposte lungo le pareti della fornace.  In genere queste pietre si dispongono a secco, ma alcune volte si usa malta di calce per tenerle ben salde alla parete. La funzione della «fodera» è quella di proteggere la fornace durante la cottura del calcare. Infatti, come avrete avuto modo di osservare, le pareti della fornace sono fatte dello stesso calcare che normalmente viene impiegato per la cottura. Ora se le pareti non vengono protette subiscono anch'esse una cottura tanto da trasformarsi, fino ad una certa profondità, in calce. Partendo dal fondo della fornace la fodera viene alzata fino ad altezza d'uomo. A questo punto inizia il caricamento vero e proprio. Intorno alla grata si dispongono in circolo dei grossi massi di calcare. Questo circolo, che prende il nome di anello centrale, si restringe, fino a chiudersi del tutto, man mano che sale il livello del carico nella fornace assumendo la forma di un cono. Sulle pareti dell'anello centrale vengono lasciati, tra pietra e pietra, dei vuoti. Questi, che vanno conservati fino alla sommità della fornace, non sono altro che delle canne simili al tiraggio di un camino con la differenza che per la costruzione delle canne della fornace non si usa malta per tenere unite tra loro le pietre. Per spiegare la funzione delle canne immaginate cosa può accadere se si tappa un comignolo di un camino acceso. In un primo momento l'ambiente si riempie di fumo, successivamente, per mancanza di aria, il fuoco si spegne. Durante il caricamento all'interno dell'anello centrale non viene sistemata nessuna pietra. Il riempimento della fornace va eseguito solo nell'intercapedine che si crea tra la fodera e il perimetro esterno dell'anello centrale ad eccezione dei punti che corrispondono alle canne. La parte interna dell'anello invece, non va riempita in quanto costituisce lo spazio in cui si realizza la combustione. Questa parte è un vuoto che rappresenta una vera e propria cappa. Man mano che si esegue il riempimento nella parte compresa tra la parete della fornace e il perimetro esterno dell'anello centrale, sale anche il livello della base della fornace. Ciò consente a chi è preposto alla costruzione della fodera di accrescere quest'ultima, trovandosi in una posizione agevole per poter compiere il lavoro. Nella parte centrale della fornace si viene a formare un vuoto che ha la forma di un cono all'interno del quale si realizza la combustione. Ebbene, nel momento in cui si aggiunge al carico l'ultima pietra che chiude il cono inizia la fase di riempimento. Quest'ultimo costituisce la parte più consistente del carico in quanto le pietre occupano tutta l'area della fornace, ad eccezione dei fori di uscita delle canne, e la parte più larga dal momento che la fornace si restringe alla base. A carico ultimato si stende sulla sommità del carico una malta. La malta che sistemiamo sul carico è un impasto di calce che ha la funzione di evitare dispersioni di calore durante la cottura. Il numero minimo di persone che si occupano del carico è di tre: il carcararo, un addetto alla gru per calare i massi di calcare nella fornace; un manovale che costruisce la fodera man mano che il carico sale. Comunque al carico collaborano saltuariamente anche altri come uno spaccapietre che prepara le pietre per la fodera e uno spalatore che trasporta i massi dalla cava alla gru. Una operazione di carico non dura meno di una settimana.

La cottura del calcare

La cottura del calcare è certamente la fase più lunga dal momento che richiede la presenza, a turno, di buona parte degli operai, sia di giorno che di notte, affinché la combustione sia continua. In passato il combustibile utilizzato erano le fascine portate soprattutto dalle donne e quando si doveva caricare la fornace si lavorava di continuo 30 o 40 giorni di seguito; quando invece era in corso la cottura del calcare, le donne, in genere, restavamo a casa in quanto alla calcara non si aveva bisogno di loro. Allora il riposo era una parola poco conosciuta. Le donne della calcara erano quasi tutte figlie di contadini. Il riposo quindi, durante le pause di lavoro alla calcara, era costituito da una zappa. Comunque il lavoro nei campi era veramente un riposo rispetto alla fatica che si faceva alla calcara. Quando iniziava la cottura delle pietre vi erano almeno tre donne a lavorare 24 ore su 24. Durante la notte organizzavamo dei turni per guadagnare qualche ora di sonno. La fase della cottura durava più di 12 giorni. Oggi è tutto più facile, prima perché lavorano a turni alternati di 12 ore e poi perché usano un sistema meccanico per la cottura del calcare. Per introdurre le fascine nella bocca della fornace bisognava stare a diretto contatto col fuoco anche quando bisognava liberare la fornace dalla carbonella che si depositava sul fondo. Questo lavoro era molto pericoloso particolarmente nei giorni ventosi. Infatti, per effetto del vento si creavano nella fornace dei «ritorni di fiamma» molto violenti e bisognava stare molto attenti per evitare di essere investiti dalle fiamme. Non sono mancate persone che hanno subito ustioni, anche gravi, al viso e alle mani. Il sistema per verificare il grado di cottura del calcare era lo stesso che si adotta ancora oggi. Si spiava attraverso i fori di uscita delle canne: se il calcare aveva assunto il colore giallo-oro significava che si era trasformato in calce. In genere i carcarari contraggono sul lavoro malattie ai bronchi. Questo perché durante la cottura del calcare il contatto con il fuoco da una parte costringe a respirare gas tossici e dall'altra provoca frequenti sudate seguite da rapidi raffreddamenti del corpo quando ci si allontana dalla fornace.

 

sabato 10 ottobre 2009

Mitraismo

Questo articolo è stato da me tratto dal sito:- http://www.itisvallauri.net/public/socrates/mitraital.htm 

Ciò che mi lascia perplesso e la sorprendete rassomiglianza tra il mitraismo e la religione cristiana. Solo che la religione cristiana ha solo 2000 anni mentre il mitraismo ne ha ben 4000. Certo che viene da pensare. Con questo non voglio dire che la religione cristiana sia fasulla, per carità, lungi da me certe idee. Io sono cattolico e tale rimango. Pero, certo che uno si chiede come mai questa rassomiglianza cosi forte. 

Mitra: Il dio del mattino 

"Mitra, Dio del mattino, le nostre trombe risvegliano i muri! Roma è al di sopra di tutte le nazioni, ma tu sei al di sopra di tutto!" Tratto da " A song to Mithra", del poeta inglese Rudyard Kipling. 

Per più di trecento anni i rappresentanti più importanti dell'Impero Romano adorarono il dio Mitra. Era conosciuto in tutt' Europa e in Asia coi nomi di Mitra, Mithra, Meitros, Mihr o Meher. La sua venerazione cominciò approssimativamente 4000 anni fa in persia, dove assimilò ben presto le dottrine babilonesi. Più tardi si estese nella parte est della Cina, attraverso l'India, e nella parte ovest, lungo tutta la lunghezza dell'antica frontiera romana: dalla Scozia al deserto del Sahara, dalla Spagna al Mar Nero.

Tracce e conferme della religione mitraica sono state trovate in Gran Bretagna, Italia, Romania, Germania, Ungheria, Bulgaria, Turchia, persia, Armenia, Siria, Israele e Africa del nord. 

Oltre ai 75 frammenti di sculture e un centinaio di iscrizioni dedicati al Mitraismo, in diverse zone di Roma sono stati trovati dei templi. Uno dei più grandi templi costruiti in Italia si trova sotto l'attuale chiesa di San Clemente, vicino al Colosseo.

 La reputazione e il fascino del Mitraismo, come risultato finale del raffinato paganesimo pre-cristiano, furono esaminati dallo storici greco Erodono, dal biografo Plutarco, dal filosofo neo-platonico Porfirio, dallo gnostico eretico Origene e dal Padre della chiesa San Geremia.

 Spesso molti storici fanno riferimento al Mitraismo per le sue  numerose e sorprendenti affinità col Cristianesimo. Per i credenti di Mitra, il dio rappresentava "la luce del mondo", simbolo di verità, giustizia e lealtà. Era il mediatore tra cielo e terra e era un componente della trinità. Secondo la mitologia persiana, Mitra nacque da una vergine chiamata "Madre di Dio". Mitra non si sposò mai e predicò tra i suoi discepoli l'autocontrollo e la rinuncia e l'astinenza dall'attività sessuale. Il Mitraismo rappresentava un sistema etico in cui la fratellanza veniva incoraggiata per creare una unione contro le forze del male.

 Per gli adoratori di Mitra il paradiso era celeste e l'Ade era l'inferno. Essi credevano che i poteri benefici del dio avrebbero contrastato l'umana sofferenza, garantendo come giustizia finale, l'immortalità e l'eterna salvezza nell'altro mondo. Essi si aspettavano anche l'arrivo del giorno del giudizio universale quando i morti sarebbero resuscitati; credevano anche nella possibilità  di un conflitto finale che avrebbe distrutto l'ordine esistente di tutte le cose come noi le conosciamo, in modo che la luce avrebbe trionfato sulle tenebre.

 Il credente doveva purificarsi attraverso il rito del battesimo, e poi prendere parte ad una cerimonia in cui doveva bere il vino e mangiare del pane, simboli del sangue e del corpo del dio. Le domeniche erano giorni sacri e la nascita del dio veniva celebrata il 25 dicembre. Completata la sua missione sulla terra, prima di ascendere al cielo, il dio Mitra partecipò all'Ultima Cena con i suoi discepoli per proteggere per sempre i credenti.

 Tuttavia sarebbe troppo semplicistico affermare che il Mitraismo fu il precursore del primo Cristianesimo. Simili a Cristo e a  Mitra, infatti, sembra che vi fossero molte altre divinità: Osiride, Tammuz, Adone, Balder, Attis e Dioniso le quali morirono e poi resuscitarono. Molte figure eroiche classiche, come Ercole, Perseo e Teseo, erano nate dall'unione di una vergine con una divinità. Effettivamente tutte le celebrazioni pagane e le festività religiose che non potevano essere abolite vennero incorporate nei riti cristiani man mano che il Cristianesimo si diffondeva in Europa e in tutto il mondo.

 Date anche un'occhiata a questo post:- http://carolemico.myblog.it/archive/2009/08/06/le-origini-contraffatte-del-nuovo-testamento.html