lunedì 29 settembre 2008

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domenica 28 settembre 2008

Acqua San Rubinetto

In una società materialista come la nostra, avere un oggetto, un piccolo scrigno, che custodisca la nostra acqua sicura, ecologica ed economica del Rubinetto, sicuramente aiuta. Le multinazionali dell'acqua ce le fanno colorate, con su le belle fighe, con dei tappi stellari che si aprono, si girano, si ciucciano, si piegano, si schiacciano...con scritte illuminanti! "L'acqua che fa fare plin plin, l'acqua dei campioni, l'acqua che ti fa dimagrire..." E noi italiani puntualmente ci caschiamo infatti, oltre ad altri ignobili primati, siamo anche i numeri 1 in Europa per il consumo di acqua in bottiglia!

Prima cliccate questo link > http://it.youtube.com/watch?v=VRRG_MpCYhU

Ma vaff....lo le multinazionali e costruiamoci la nostra bottiglia d'acqua!

   Per visualizzare il resto dell'articolo cliccare qui >  acqua San Rubinetto.doc

venerdì 19 settembre 2008

lucerna

lucerna.JPG

Ciao, voglio raccontare a tutti voi una storia. Sapete, possiedo da tanto tempo una lucerna che mia moglie tiene in gran considerazione. La predetta lucerna in terracotta è veramente molto ma molto antica. Pensate che è in mio possesso nientemeno da circa ………. sei mesi, più antica di così, un vero tarocco. Vi racconto la storia, nei primi giorni di gennaio 2008, mi recai con la mia famiglia presso il santuario di San Cosimo ad Oria, durante un giro presso il mercatino locale, sopra una bancarella vidi parecchi oggetti in terracotta, acquistai per due euro una lucerna e me la portai a casa, qui giunto, misi nel buco della lucerna uno stoppino e la riempii di olio (olio di paraffina alla citronella quello per tenere lontano le zanzare) e detti fuoco allo stoppino tutto ando bene per circa un'oretta, dopo di che l'olio comincio a trasudare dal recipiente sempre in maggiore quantità (non so se dipendeva dalla composizione dell'olio o da un difetto di costruzione dell'oggetto), dopo poco l'olio trasudato tendeva a prendere fuoco sui bordi emanando un fumo pestilenziale di colore nero, a questo punto visto che la cosa cominciava ad essere alquanto pericolosa, presi la lucerna e la misi dentro il camino, sulla cenere, ad una certa distanza dal fuoco. Dieci minuti dopo tutta la lucerna ardeva come una torcia, rimase cosi sino al giorno dopo, quando si fu raffreddata, era diventata un pezzo di carbone. Il primo impulso fu di buttarla nella pattumiera, invece mia moglie con la sua solita santa pazienza, si infilo un paio di guanti e si mise pulirla, un volta che si era asciugata, la mise su un tavolino all'ingresso e li e rimasta sino ad ora. Non potete immaginare quanta gente abbia scambiato quell'oggetto per una vera lucerna antica. Non pare anche a voi dalla foto che sembra veramente antica, anche se per la verità a pochi mesi, un vero tarocco insomma. Con questo voglio dire alla gente occhio ai tarocchi, non potete immaginare quanti oggetti ANTICHI come questo ci sono in giro e vengono venduti per veri. Alcuni anni fa sentii parlare di un falegname che raccoglieva porte vecchie ed altro legname tarlato, mezzo marcio e con questo confezionava dei veri mobili antichi. Ciao gente e occhio ai tarocchi.

mercoledì 17 settembre 2008

sapone cegliese

 IL SAPONE DI CEGLIE

Un detersivo molto antico il sapone di Ceglie. I nostri nonni, per lavare la biancheria, usavano il classico sapone di Ceglie, si trattava di un sapone artigianale, cremoso, simile a della marmellata e dal classico colore giallo paglierino. L’arte di preparare il sapone e commercializzalo, era un’arte molto antica e diffusa, specialmente nel vicino comune di Ceglie Messapica, ove vi erano parecchie famiglie che si dedicavano come mestiere alla produzione di tale prodotto. Parecchie persone se lo facevano in casa, pero non tutte le donne all’epoca erano capaci (o non avevano il tempo) di confezionare il sapone per cui spesso veniva comprato dai venditori ambulanti che in maggioranza provenivano appunto da Ceglie. Questi stessi venditori, raccoglievano la cenere dei camini che barattavano con un pò di sapone. Il sapone si otteneva usando come ingrediente di base la cenere prodotta dalla combustione della legna (la migliore era quella proveniente dalla combustione di legno di ulivo), La cenere ben setacciata per eliminare eventuali impurità o parti incombuste, veniva mescolata con calce viva in polvere, successivamente il composto veniva versato in un grande vaso in terracotta (in dialetto si chiamava “limm”) munito di un foro sul fondo, dopo di che veniva battuto per farlo compattare, il vaso veniva posto sopra un altro recipiente, dopo di che aggiungeva acqua fredda fino a riempirne il vaso sino all’orlo, l’acqua col tempo (minimo 12 ore) pencolava attraverso il miscuglio di calce e cenere e dal foro sul fondo del vaso passava nel recipiente sottostante, al liquido fuoriuscito, veniva aggiunto dell’olio di oliva (di frantoio) e mescolato, dopo di che era messo a bollire a fuoco lento per ore (doveva essere girato in continuazione, sia per far amalgamare l’olio sia per evitare che attaccasse sul fondo del recipiente e bruciasse). Quando il composto raggiungeva la densità del miele, veniva versato in uno (o più) stampo e fatto raffreddare. Era un sapone molto buono e non inquinante anche se aveva un odore molto forte, dicono facesse bene alla pelle ed era adatto alle persone che soffrivano di allergia agli altri tipi di saponi.

 

paghjier

 

PAGHJIER  Altra costruzione tipica della zona di San Michele Salentino (Brindisi), (più in passato, sino a 30 o 40 anni fa se ne trovavano a centinaia ) che va ormai scomparendo sono i “PAGHJIER“, costruzione sicuramente di origine messapica (in questa zona e nei paesi limitrofi,  anticamente viveva il popolo dei MESSAPI, popolo si dice proveniente dall’isola di CRETA, i quali avevano colonizzato quasi tutta la Puglia, assumendo nomi diversi secondo l’area in cui si erano stabiliti, non si sa di preciso il significato della parola messapici, forse popolo che abita tra i due mari o popolo che abita nella penisola). Si tratta di una costruzione ibrida, pietre, legname e paglia. Veniva prima costruito un muro con pietre (pietra del luogo, pietra calcarea, la quale appena tagliata a la caratteristica di essere bianchissima e molto tenera, col tempo sottoposta agli agenti atmosferici tende ad indurirsi e si ricopre di microscopici muschi e licheni che le danno la caratteristica colorazione grigia, ma il maggior pregio di questa pietra sta nel fatto che di giorno assorbe il calore mentre la notte lo rilascia assorbendo nel contempo umidità dall’aria, da questa stessa pietra dopo lunga cottura si ricava la calce viva), a secco di forma ovaloide un po’ allungata (in alcuni rari casi anche rettangolari), per un’altezza di circa un metro e mezzo o poco più, largo alle volte anche più di un metro, su uno dei lati più corti veniva lasciata un’apertura che fungeva da porta di accesso, (nella maggior parte dei casi rivolta verso sud), in rari casi veniva fatto anche un architrave in pietra, non esistevano finestre, (se ne ricavavano dei locali larghi dai 3 ai 5 metri per una lunghezza tra i 4 e i 6 metri). Sulla sommità del muro venivano piazzati dei pali di altezza variabile dai 3 ai dieci metri, le punte andavano a congiungersi in alto e incrociati con altri pali messi in orizzontale, a formare una sorta di triangolo, i pali venivano legati e fermati (sulla cima) tra loro con un abile lavoro di incastro o con delle corde, lo spazio laterale rimanente tra un palo e l’altro veniva riempito con rami o canne intrecciate, sopra questa intelaiatura venivano posizionate delle stoppie (in dialetto “ristucc”, sarebbe la parte che rimaneva attaccata al terreno dopo aver mietuto il grano, si estirpava a mano e si sbatteva per far cadere la terra) fino a coprire tutta l’intelaiatura, dalla sommità del muro sino alla cima, era un lavoro fatto bene (occorrevano diverse persone e diversi giorni di lavoro)  in quanto riusciva riparare molto bene sia dalla pioggia che dalla calura estiva ed in buona parte anche dal freddo invernale. Di solito venivano costruiti sul fianco dei trulli e servivano in maggioranza per il ricovero di animali, conservare paglia o fieno, tenere al riparo gli attrezzi agricoli e carri. Vi sono stati anche casi (specialmente durante l’ultimo conflitto mondiale quando la gente si allontanava dagli agglomerati urbani per la paura di eventuali bombardamenti) in cui persone meno ambienti vi hanno vissuto dentro in particolar  modo nel periodo estivo, in tal caso all’interno del paghjier si poteva trovare un focolare in pietra che serviva nei periodi invernali sia per cucinare il cibo che per riscaldarsi, mentre invece nei periodi caldi si preferiva usare un focolare all’aperto (sia per evitare il caldo che ristagnava nell’ambiente che per evitare i facili rischi di incendio.

Sono ormai quasi completamente scomparsi (dovuto anche allo spopolamento delle campagne), in quanto al massimo ogni due o tre anni bisognava ricambiare tutta la copertura in paglia (tendeva facilmente ad imputridire e durante la pioggia veniva dilavata creando delle aperture in cui l’acqua si infiltrava facilmente), mentre l’intelaiatura in legno poteva reggere al massimo 10 o 15 anni dopo di che andava tutta rifatta.

Perciò se vi capita di vedere specialmente vicino ai trulli (o anche isolato) un muro tondo, ovalizzante o rettangolare in pietra a secco, alto meno di un paio di metri, sicuramente quello doveva essere un paghjier. 

le masserie

antiche comunità

Altro tipo di costruzione tipico delle campagne pugliesi ed in particolare delle "Murge" sono le "masserie". La maggior parte di queste purtroppo in complete stato di abbandono se non addirittura diroccate (un vero peccato).  Si suole pensare che si tratti di una continuazione delle famose fattorie romane sparse nel meridione. La loro origine comunque si perde nella notte dei tempi,  quelle attualmente visibili risalgono a partire dall'anno 1000 fino a tutto il 1800, parecchie di queste ricostruite e riattate su siti molto più antichi (spesso riutilizzando lo stesso materiale),  vicino a delle masserie, sono infatti stati  rinvenuti molti reperti preistorici,  necropoli  e altro materiale molto antico. Parecchi paesi e città della Puglia,  sono nati proprio per l'addensamento della popolazione attorno al nucleo originario di una masseria. Le maggior parte delle antiche masserie specialmente quelle più isolate,  erano come un mondo a se,  quasi completamente autonome sia dal punto di vista alimentare che di tutto il resto,  oltre all' allevamento degli animali  (vi si poteva trovare qualsiasi tipo di animale come ovini,  caprini, bovini,  suini,  equini, animali da pollaio ecc.),   si provvedeva alla lavorazione del latte, alla trasformazione dell'uva in vino,  delle olive in olio (ogni masseria aveva il suo frantoio),  il grano veniva macinato sul posto (almeno quello che serviva alla comunità locale),  qualsiasi riparazione di carpenteria o altro veniva effettuata in loco, esisteva un'officina del fabro in cui venivano ferrati anche i cavalli,  si lavorava e  tesseva (a mano o con telai di legno) il lino, il cotone (coltivati sul posto) e  la lana ricavata dai propri animali,  il pane e la pasta si facevano sul posto, vi si macellavano gli animali. Ogni persona che lavorava nella masseria in pratica era in grado fare diversi mestieri. Le masserie inoltre erano dei veri e propri fortini,  erano circondate da un muro molto alto,  si accedeva all'interno della masseria da un pesante portone  che la notte veniva chiuso per impedirne l'accesso a chiunque. Parecchie masserie nei posti più elevati avevano delle vere e proprie feritoie da cui ci si poteva facilmente difendere da eventuali attacchi di qualsiasi genere. Alcune di queste come la masseria S. Giacomo (esiste ancora),  al centro avevano  addirittura una vera e propria  torre. L'abitazione del proprietario che si recava di solito per brevi periodi dell'anno era mella parte più elevata e riparata, l'abitazione del massaro (il fiduciario del padrone) e le abitazione di tutte le altre famiglie che lavoravano sul posto erano invece nella parte più bassa.  Ogni masseria aveva una sua chiesa in cui di solito la domenica veniva detta la messa,  a cui durante le funzioni affluiva gente da tutti i terreni limitrofi. La masseria era un punto di riferimento,  per tutta la gente che abitava nel circondario. Il lavoro era duro e durava dall'alba sino al tramonto,  intervallato solo dalle pause per consumare i pasti. Alcune masserie,  addirittura avevano un proprio cimitero in cui venivano tumulati i defunti. Ultimamente, molte di queste masserie sono state restaurate, ma purtroppo solo per farne dei ristoranti o agriturismo.